TRIBUNALE 
 
    Nel procedimento penale a carico di 1) Berlusconi Silvio  nato  a
Milano il 29 settembre 1936 
    imputato del reato di cui agli artt.  110.  319,  319-ter  e  321
c.p., contestato, in  concorso  con  David  Mills  come  commesso  in
Milano, Londra, Ginevra, Gibilterra e altrove  fino  al  29  febbraio
2000. pronuncia la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Il presente procedimento giunge all'udienza odierna a seguito  di
rinvio disposto in data 26 marzo 2010 per l'esame del consulente  del
p.m. 
    Alla precedente udienza del 27 febbraio 2010 il  Tribunale  aveva
indicato, oltre all'udienza del  26  marzo  2010,  quella  odierna  e
quelle del 30 aprile 2010, 7 maggio 2010, 12 maggio 2010 e 29  maggio
2010. 
    In data 14 aprile 2010 la difesa dell'imputato anticipava via fax
istanza di rinvio per  legittimo  impedimento  di  Silvio  Berlusconi
dandone comunicazione al p.m., essendo egli impegnato a presiedere il
Consiglio dei ministri convocato  per  la  data  odierna.  Nel  corso
dell'udienza produceva copia dell'ordine del giorno datato 14  aprile
2010 ed esibiva originale, producendo  copia,  dell'attestazione  del
segretario generale della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
relativa  alla  continuativita'   dell'impedimento   correlato   allo
svolgimento delle funzioni di Governo ai sensi della legge  7  aprile
2010, n. 51. 
    A fronte della richiesta di rinvio, mentre  la  parte  civile  si
rimetteva alla decisione  del  Tribunale,  il  p.m.  ne  chiedeva  il
rigetto.  Assumeva,  infatti,  che  l'impedimento  addotto  ancorche'
legittimo, non sarebbe assoluto alla luce dei temi  posti  all'ordine
del  giorno  del  Consiglio  dei  ministri  ed  essendo   intervenuto
successivamente  alla  fissazione  concordata  del   calendario   del
processo. 
    La  difesa,  data  lettura  integrale  dell'ordine  del   giorno,
sottolineava  la  rilevanza   dei   temi,   ribadendo   l'assolutezza
dell'impedimento. 
    Il Tribunale e' dunque chiamato in  questa  sede  a  decidere  in
ordine alla sussistenza dell'impedimento addotto. 
    Valutazione che deve essere affrontata alla luce  della  legge  7
aprile 2010, n. 51, entrata in vigore in data 9 aprile 2010. 
    Tale provvedimento legislativo prevede all'art.  1,  primo  comma
che  «Per  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  costituisce
legittimo impedimento, ai  sensi  dell'art.  120-ter  del  codice  di
procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti  penali,
quale imputato,  il  concomitante  esercizio  di  una  o  piu'  delle
attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in  particolare
dagli articoli 5, 6 e 12 della  legge  23  agosto  1988,  n.  400,  e
successive modificazioni, art. 2, 3 e 4 del  decreto  legislativo  30
luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni,  e  dal  regolamento
interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  10  novembre  1993,  pubblicato  nella
Gazzetta  Ufficiale  n.  268  del  15  novembre  1993,  e  successive
modificazioni,    delle    relative    attivita'    preparatorie    e
consequenziali, nonche' di ogni attivita' comunque coessenziale  alle
funzioni di Governo». 
    Al comma terzo la norma prevede che «il giudice, su richiesta  di
parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti  rinvia
il processo ad altra udienza» e al quarto che «Ove la Presidenza  del
Consiglio dei ministri attesti che l'impedimento  e'  continuativo  e
correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente  legge
il giudice  rinvia  il  processo  a  udienza  successiva  al  periodo
indicato, che non puo' essere superiore a sei mesi». 
    E' dunque essenziale accertare se la legge 7 aprile 2010,  n.  51
mantenga  in  capo  al  giudice  il   potere-dovere   di   verificare
l'effettiva sussistenza dell'impedimento. 
    Il  legittimo  impedimento,  cosi'  come  disciplinato  dall'art.
420-ter c.p.p., e', infatti, istituto generale, posto a garanzia  del
diritto di difesa.  Nel  caso  di  imputato  che  ricopra  importanti
funzioni   pubbliche,   vanno   contemperate   le   esigenze    della
collettivita' a che l'imputato svolga la funzione di cui e'investito,
il   buon   andamento   della   giustizia   penale   connesso    alla
obbligatorieta' della azione penale e  alla  durata  ragionevole  del
processo e il pieno esercizio del diritto di difesa. 
    Come affermato  dalle  sentenze  della  Corte  costituzionale  n.
225/2001 e 451/2001 nello spirito di leale collaborazione tra  organi
dello  Stato  e'  possibile  e  doveroso  concordare  le  udienze  di
celebrazione del processo. 
    Soluzione  finora  adottata  anche   nel   corso   del   presente
procedimento. 
    Peraltro, cio' non esclude  che  il  giudice  debba  valutare  la
sussistenza  dell'impedimento  a  comparire.  Infatti,  il  legittimo
impedimento dell'imputato,  per  sua  natura,  non  puo'  che  essere
valutato mediante accertamento di fatto da effettuarsi caso per  caso
e in concreto. 
    La questione e' quindi rilevante nel presente  processo,  essendo
la  sua  risoluzione  imprescindibile   per   la   prosecuzione   del
dibattimento. 
    Coerentemente con il sistema delineato dall'art. 420-ter  c.p.p.,
di applicazione generale, nonche' dalle norme costituzionali e  dalle
sentenze della Corte costituzionale in tema di legittimo  impedimento
di soggetti  che  rivestano  funzioni  di  rilevanza  costituzionale,
l'istituto potrebbe al piu' essere disciplinato presuntivamente - con
riferimento  a  tali  cariche   -solo  in  relazione   a   specifiche
situazioni di fatto. 
    L'art. 1, comma 1 della legge sembra, invece, stilare  un  elenco
di quelli che sono impedimenti legittimi, la cui  sussistenza  impone
al giudice il rinvio del processo. L'inserimento in tale elenco anche
«delle relative attivita' preparatorie e consequenziali,  nonche'  di
ogni  attivita'  comunque  coessenziale  alle  funzioni  di  Governo»
introduce, attesa la sua genericita', un  concreto  ulteriore  limite
alla   apprezzabilita'   dell'impedimento,   esaurendosi    in    una
classificazione      generale      disancorata      dall'effettivita'
dell'impedimento rispetto alla singola udienza. 
    Questa interpretazione e' rafforzata dal dettato del comma 4  del
medesimo articolo, secondo il quale il giudice rinvia il  processo  a
seguito  di  certificazione  che  «attesti   che   l'impedimento   e'
continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui  alla
presente legge». 
    Il rinvio e' imposto quindi da ragioni genericamente  indicate  e
insindacabili dalla autorita' giudiziaria e si traduce in  una  causa
automatica di rinvio del dibattimento  sproporzionata  rispetto  alla
tutela del diritto di difesa, per il quale l'istituto  del  legittimo
impedimento a comparire e'previsto. 
    Una diversa lettura della norma che salvaguardasse  il  sindacato
del giudice  in  ordine  alla  natura  dell'impedimento  e  alla  sua
continuativita', si risolverebbe in una  sostanziale  disapplicazione
della nuova legge. 
    Infatti  una  tale  lettura  non  terrebbe   conto   del   canone
ermeneutico di cui  all'art.  12  delle  preleggi,  che  prevede  che
nell'applicare la legge, oltre che  all'interpretazione  letterale  e
sistematica,  debba  aversi  riguardo   anche   alla   volonta'   del
legislatore. Volonta' nella specie espressamente palesata dall'ultima
parte  dell'art.  2,  primo  comma,  ove  si  legge  che   le   nuove
disposizioni si applicano «al fine di consentire  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e ai  ministri  il  sereno  svolgimento  delle
funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge». 
    Di  fatto,  tale  meccanismo  procedurale,  benche'   qualificato
legittimo impedimento «ai sensi dell'art. 420-ter codice di procedura
penale»,  prevede  una  nuova  prerogativa,  introdotta   con   legge
ordinaria, connessa all'esercizio  delle  cariche  costituzionali  di
Presidente del Consiglio dei ministri e  di  Ministro  attraverso  la
previsione di una causa di sospensione del processo. 
    Invero,  secondo  quanto  recentemente   espresso   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza 7 ottobre 2009, n. 262, una tale causa
di sospensione potrebbe anche essere «prevista  dall'ordinamento  per
soddisfare l'esigenza extraprocessuale di proteggere  lo  svolgimento
della funzione propria di un organo costituzionale e,  pertanto,  ...
costituire lo strumento di una specifica prerogativa costituzionale»,
ma tale previsione deve essere adottata con legge costituzionale. 
    La Corte costituzionale ha in particolare  esplicitato  i  motivi
per cui, al fine di introdurre  nuove  prerogative  nell'ordinamento,
occorre adottare la procedura di legge costituzionale. La  previsione
di  una  nuova  prerogativa   introduce,   infatti,   una   normativa
derogatoria al principio di uguale sottoposizione alla legge  e  alta
giurisdizione di tutti  i  cittadini  e  attiene  all'equilibrio  tra
organismi costituzionali e poteri dello Stato. Motivi per i quali non
puo' che essere adottata con legge costituzionale. 
    Secondo quanto affermato dalla Corte le prerogative di cui godono
i   titolari   di   organi   costituzionali,   che   si   tratti   di
insindacabilita', scriminanti, immunita' sostanziali,  condizioni  di
procedibilita' o altro, «sono sistematicamente regolate da  norme  di
rango costituzionale», proprio perche' il sistema  delle  guarentigie
e' derogatorio del diritto comune. 
    Solo una legge adottata secondo il meccanismo previsto  dall'art.
138 Cost. potrebbe percio' prevedere ulteriori prerogative rispetto a
quelle gia' previste per il Presidente del Consiglio dei  ministri  e
per i Ministri dall'art. 96 della Costituzione relativo ai soli reati
funzionali, purche' in armonia  con  i  principi  fondamentali  dello
Stato di diritto. 
    Che il legislatore sia consapevole della necessita' di una  legge
costituzionale in materia si evince anche  dal  carattere  temporaneo
della norma, espressamente previsto dall'art. 2 della legge 7  aprile
2010, n. 51, laddove prevede che «Le disposizioni di cui  all'art.  1
si applicano  fino  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge
costituzionale recante la disciplina organica delle  prerogative  del
Presidente del  Consiglio  dei  ministri...»,  di  cui  anticipa  gli
effetti per diciotto mesi. 
    La legge 7 aprile 2010,  n.  51,  adottata  con  legge  ordinaria
presenta pertanto profili di incostituzionalita' per violazione degli
articoli 3 e 138 della Costituzione.